IMMAGINE tratta dall’articolo di Maurizio Maestrelli pubblicato su Good Beer Hunting

In Sardegna, il mosto cotto d’uva trova da sempre un importante impiego nella preparazione di dolci tipici.

Essendo un materiale fermentabile, pensai che potesse andare ad arricchire una birra, dopo una lunga maturazione in acciaio e il successivo lungo affinamento in bottiglia.

Fu così che nel lontano 2006, il Birrificio Barley cominciò a produrre le prime birre al mosto d’uva: si partì con la BB10 col mosto cotto da uve Cannonau; poi fu la volta della BB Evò nel 2008, impreziosita col mosto cotto di uve Nasco; nel 2011, la BB9, arricchita dal mosto cotto di uve Malvasia di Bosa e, via via, le altre.

Successivamente, nel 2015 si passò alla produzione di birre col mosto fresco da uve aromatiche e semi-aromatiche.

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L’apripista di questa nuova linea fu la BB7 col mosto di uve Moscato di Cagliari, poi la BB6 col mosto di uve Malvasia di Cagliari e altre ancora, nelle quali si utilizzarono vari altri uvaggi, come il Nuragus, il Vermentino, il Cannonau e il Carignano.

In questi ultimi due casi, le produzioni di mosti da uve rosse richiesero una lavorazione in più in cantina, in modo da estrarre tanti aromi e colore dalle uve. Il risultato fu sorprendente!

A tutt’oggi, la BB10 è considerata la pioniera di un modo tutto italiano di fare birra, noto in tutto il mondo come “Italian Grape Ale”.

Nicola Perra

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